martedì 15 aprile 2008

STORIA - Il Cippo di Sacerno in memoria del Triumvirato

Il Cippo di Sacerno, pur trascurato negli ultimi decenni e quasi sepolto dai rinfianchi dell’argine destro del Lavino e dall’ampliamento di Via di Mezzo, resta l’unica memoria antica del triumvirato del 43 a. C., e la sua storia è documentata nei testi delle sue lapidi. Questo imponente manufatto conserva inoltre il fascino dei segnacoli che continuano la sacralità del luogo, già viva in epoche pagane ed intensificata con l’avvento del cristianesimo.
Questa colonna fu eretta nel secolo XVI dai Servi di Maria, proprietari dei terreni, con l’intento di celebrare l’importanza del luogo, ritenuto, secondo l’interpretazione di alcuni testi storici, quello in cui i tre noti generali romani si spartirono le province nel dominio di Roma. Alcuni studiosi del ‘700 individuarono però l’Isola del loro incontro nell’ampia golena del Reno, tra Borgo Panigale e S. Vitale a sinistra, Bertalia a destra.
Chi effettuò i restauri di questo monumento nel 1770 e nel 1845, continuò a considerare il Cippo la “vera” memoria, inoltre nel cenno storico su Sant’Elena di Sacerno[1] del 1844, l’autore precisa: “Fu creduto quasi universalmente che nel territorio di questa Parrocchia accadesse la famosa spartizione dell’impero romano fatta dai triumviri Ottaviano, Marcantonio e Lepido, onde questo territorio fu anche detto del partaggio triumvirale”.
Per ribadire che si trattava di una credenza radicata, l’autore aggiunge: “Il detto pilastro ora sta restaurandosi e si dice che vi apporranno una quarta lapide. Gli archeologi però e i critici più giudiziosi non precisamente in questo luogo dicono accaduta la spartizione triumvirale, ma in un’isoletta del Reno non lungi dalla Chiesa Parrocchiale di Bertalia”.
Il pilastro sorge in una località caratteristica di Sacerno chiamata Mèz dal Mònd o “Mezzomondo”, alla lettera: “alla metà del mondo”. Oltre il fascino che il termine ha suscitato nella fantasia popolare come luogo in cui quei “grandi” si spartirono il mondo, induce a considerare il “valore culturale e sacrale” attribuito “a determinati punti del territorio, ritenuti in senso simbolico e religioso centri del mondo, e come tali, caratterizzati dalla presenza di pietre onfaliche o di più articolate strutture architettoniche con finalità di culto, e in grado di istituire un collegamento fra il mondo sensibile e le realtà oltremondane”[2].
Altro elemento importante, già messo in rilievo nelle lapidi del primo manufatto, è che il Cippo si trovi vicino all’antica Rotonda, le cui reminescenze risalgono alle origini del cristianesimo e fu costruita con le presenti forme nel secolo X. A questa si è aggiunta la chiesa di S. Elena nell’XI, eretta in onore della santa, che rinvenne la Vera Croce.
Attorno alla metà del ‘500, per dare al territorio un prestigio storico, in un tempo umanistico in cui le fonti letterarie avevano acquisito un fascino particolare, i Padri di S. Maria dei Servi eressero il manufatto in questo punto, considerando che, tra gli antichi cronisti, Cassio Dione aveva individuato il luogo del triumvirato in un’isoletta del fiume che scorre presso Bologna, Appio Alessandrino su una piccola e piatta isola del fiume Lavino e Floro presso la confluenza di due fiumi[3].
Le testimonianze storiche sono vaghe e la collocazione del Cippo a Sacerno da parte dei padri Serviti non sembra avere una ragione plausibile, in particolare da un punto di vista idrografico. Poiché queste colonne della memoria si diffusero da varie parti, e pure ai Forcelli dove il Lavino sfocia nel Samoggia; appare chiaro il desiderio di alcune comunità di collegare l’evento del 43 a. C. al proprio territorio, con “il malvezzo di qualche erudito di volere integrare secondo il proprio estro le fonti”[4].
La pianta del perito Nicolò Pulega del 1666[5] indica tre strade, che dalla Via di Mezzo scendevano alla “Strada Maestra di S. Giovanni” ed erano: la “Via Longa del Tavernello” (oggi via Sacernia); la via accanto all’argine destro (fino al 1930 detta “Golena del Lavino”); una via (o stradello) che, passando ad est dell’oratorio di S. Antonio Abate, giungeva alla Persicetana. Prima del 1770 il Cippo era all’incrocio di questa strada con Via di Mezzo.
Il Savioli e in particolare il Calindri[6] identificarono un vecchio corso del Lavino, che da Gesso, passava per Olmetola, Borgo Panigale e sfociava a S. Vitale, nella località ora detta Lippo, con il nome di Canalazzo, ancora segnato nella mappe del primo ‘800. Pur di fronte a questa evidenza, alcune carte topografiche riportano la colonna come “Memoria del Triumvirato” a Sacerno; se inoltre si pensa che fu restaurato nel 1770 e nel 1845, almeno sul piano simbolico si credeva che il “Partaggio” del 43 a. C. fosse avvenuto al Mezzomondo.
A conferma che un ramo antico del Lavino sfociava di fronte a Bertalia, una mappa del 16 maggio 1813, fatta disegnare dal Conte Aldini per derivare dal Reno una fossa in grado di irrorare le sue risaie di Calderara, riporta ancora le caratteristiche dell’ampia golena nella zona vicino al Passo della Crocetta, con isole estese, tra cui scorrono “il corso principale” del fiume e i diversi “riazzi”; in alto a destra si nota con evidenza il tracciato dello “Scolo Canalazzo Abbandonato”, come qualche decennio prima l’aveva segnato il Calindri[7].
Ora il Cippo si presenta come “un massiccio segnacolo, alto in tutto m. 3,30 circa, ha sezione pressoché rettangolare con i lati di cm. 104 x 80, è ricoperto da lastre di pietra ed è sormontato da un elemento sommitale a quattro timpani, sempre in pietra, culminante in una cuspide a bulbo che reca infisso un puntale di ferro costituito da quattro acuminate lame lunate. Su ogni lato del pilastro campeggia inoltre un’iscrizione latina incisa su una lastra di marmo”[8].
La lapide ovest riporta che il manufatto fu ricostruito nel 1770 dai monaci di S. Giuseppe, dopo che per l’usura e le intemperie era ormai crollato quattro volte. Calcolando il tempo approssimativo tra un restauro e l’altro, si deduce che la colonna esisteva da molto tempo, lo stesso Calindri infatti riferiva che Antonio Masini, nella sua Bologna Perlustrata del 1666 affermava che a Sacerno “si trovava all’epoca una Memoria di macigno fatta nel 1600”, si trattava di un piastrino con due iscrizioni “del Servita Apollonio Painio”[9].
Questi primi scritti, nel ricordare l’evento storico, mettono in evidenza l’antitesi di due simboli dominanti: la “spada” e la “croce”. Ottaviano, Antonio e Lepido convennero in questo luogo, per dividersi le terre dell’impero romano, “nel nome di triumvirato, dell’anno 1090 dalla creazione del mondo, 743 dalla fondazione di Roma, 46 prima del parto della Vergine”.
Dopo questa solenne datazione, l’altra scritta ricorda il luogo dell’evento storico, facendo però riferimento alla vicina chiesa di S. Elena, dove si adora la S. Croce: “Tre uomini qui divisero il territorio del mondo con le spade”. Ma non tanto lontano, la Croce e la Trinità lo ricongiunsero. “Anno del Signore 1600”. Il fiorentino Arcangelo Giani, negli Annali dei Serviti, compilati nel 1618, affermava che la prima iscrizione era attribuita al bolognese Apollonio Painio e che lo stesso Painio si prese cura di far restaurare un vecchio cippo commemorativo ormai crollato da tempo. Si deduce che il pilastro si trovava già in loco alla metà del ‘500.
Serafino Calindri, che aveva pubblicato il suo Dizionario nel 1785, informava che il nuovo pilastro è stato fatto erigere da padre Moreno Roffeni Servita del convento di S. Giuseppe, spostando così il manufatto a sud della Via di Mezzo in un fondo di loro proprietà detto “Sotto la Chiesa”.
Anche nella storia della Parrocchia di Sacerno[10] sono riportate notizie dettagliate sulla collocazione del nuovo cippo eretto in memoria del detto “partaggio triumvirale”: “Di fatti in un quadrivio, e precisamente presso la via chiamata via di mezzo quattro pertiche bolognesi distante dal Lavino (m. 15,20), e sulla sua riva destra fu eretto un architettato pilastro con sopra una stella: e scorgesi lo stemma dei RR. PP. Serviti” nel lato sud.
Nel restauro del 1845 venne sostituita la stella in cima con il descritto puntale e al posto dello stemma dei Serviti fu collocata un’altra lapide dal promotore dello stesso restauro, il conte Giovanni Battista Spalletti, proprietario dei terreni, che, con l’approvazione del Senato bolognese, eresse il monumento giunto ai nostri giorni.
Egli affisse con poche modifiche il contenuto delle lapidi precedenti, aggiungendone, sul lato sud al posto dell’insegna dei Serviti, una nuova che metteva in risalto la sua opera: “Affinché questo famoso monumento non divenisse più fatiscente a causa dell’ingiuria dei tempi”; inoltre spostò la base del manufatto di soli 24 cm, perché fosse edificato in suolo pubblico.
Questa decisione, di far diventare il monumento un bene pubblico, ha lasciato testimonianze anche in un successivo atto di compra - vendita. Il 14 gennaio 1924, nel rogito del Dott. Giovanni Forni fu Mauro, di S. Giovanni in Persiceto (storico di riconosciuta importanza), con cui i conti Cesare e Giovanni Battista Spalletti vendevano parte del podere “Chiesa” con gli edifici colonici a Petronio e Costante Caponcelli, è solennemente scritto che sono compresi nell’acquisto i terreni segnati nel tipo allegato, escluso “la Colonna o Monumento a ricordo dei consoli Romani Antonio, Lepido e Ottaviano”[11].
Questo riferimento non solo attesta la continuità delle credenze tradizionali, ma rivela che “il vero ricordo” del fatto storico, avvenuto nel 43 a. C. nell’Isola del Reno a qualche chilometro di distanza, per tradizione era ed è rimasto il Cippo di Sacerno.
Interessante è leggere, nella storia del territorio persicetano dello stesso Forni, il passo sui presunti luoghi dove sarebbe avvenuta la famosa spartizione del mondo romano. Si era creduto nella località Forcelli, dove anche qui (alla confluenza del Lavino nel Samoggia) era stata eretta una colonna poi abbattuta, così egli scriveva del nostro cippo: “Altri vollero che il grande avvenimento avesse avuto luogo, bensì lungo il Lavino, ma in luogo superiore e cioè a Sacerno e perciò fecero ivi collocare e vi si trova ancora, un piccolo monumento consistente in una colonnetta con sovrapposto globo, rappresentante il mondo diviso”; nel passo si nota come lo studioso riduca il “monumento” al Mezzomondo a livello di “colonnetta”.
Lo storico con arguzia continua: “Ma tutti questi signori fecero i conti senza l’oste; e l’oste fu in questo caso l’eruditissimo Abate Calindri, il quale con inoppugnabili argomenti dimostrò che, al tempo di Ottaviano, il Lavino anziché nel Samoggia sfociava nel Reno”[12].
In questo atto del 1924 egli precisa di escludere, per le dette ragioni, dalla vendita “la Colonna o monumento a ricordo dei consoli Romani Antonio, Lepido e Ottaviano”, infatti i notai erano soliti riportare i termini toponomastici anche “volgarmente detti”, ma stando al significato letterale della frase, il Forni notaio attribuisce a questo cippo il ruolo di avere conservato la memoria della ripartizione.
La lapide al lato ovest rileva l’intento dei padri di S. Giuseppe di conservare nel tempo la memoria dell’evento storico tramite questa colonna, che nel 1770 eressero di nuovo e per la quinta volta, apponendovi quattro lapidi: le due antiche ampliate e questa, scritte dall’ex padre generale, il servita Maestro Adami. Il conte Spalletti nel 1845 ricostruì in modo più solido il monumento e si premurò di trascrivere le tre lapidi, con lievi ritocchi di necessità, per lasciarne integro il messaggio. La quarta, come detto, la dedicò al suo intervento.
La lapide al lato nord, con il testo più ampio rispetto a quella del 1600, ora riporta i fatti determinanti che portarono al triumvirato: “Assassinato Gaio Giulio Cesare e uccisi i consoli Pansa ed Irzio”, Antonio, Lepido e Ottaviano “assunto il triumvirato quinquennale per la costituzione della repubblica, spartendosi fra loro l’Impero Romano e decidendo le tavole di proscrizione, qui presso il fiume Lavino si fermarono per tre giorni nell’anno 711 della fondazione di Roma e 43 a. C.".

C. IULIO CAESARE INTERFECTO
C. PANSA ET A. HIRTIO COSS. CAESIS
M. ANTONIUS M. LEPIDO ET CAESAR OCTAVIANUS
TRIUMVIRATU QUINQUENNALI R. P. C. ASSUMPTO
ROMANO IMPERO INTER SE DIVIDENDO
TABULISQUE PROSCRITIONUM SIGNANDIS
HEIC AD FLUENTA LAVINI
TRIDUO CONSTITERUNT
ANNO U.C. DCCXI. ANTE CHRISTUM XLIII.

Il testo concentra un susseguirsi di fatti storici drammatici, avvenuti in questo periodo di crisi della repubblica romana, che aveva avuto fin qui nel senato uno strumento istituzionale di mediazione e di governo. Lo scritto riferisce dell’uccisione di Cesare, della morte dei consoli Pansa ed Irzio nella guerra di Modena contro Antonio. Poi è seguito l’accordo tra i tre generali di formazione e parte cesariana, per difendere i loro interessi di fronte al senato e prepararsi a combattere la minaccia dei congiurati Bruto e Cassio, che in Oriente stavano formando un temibile esercito.
Nelle parole della lapide emerge il valore istituzionale del triumvirato, trasformato in magistratura quinquennale dalla lex Titia del 27 novembre 43, ma se nei termini si può scorgere l’ideale di un impero universale fondato sul diritto e la giustizia, tutto si raffredda leggendo della spartizione dei territori; inoltre il popolo di Roma precipitò nella tragedia, dopo che furono compilate le liste di proscrizione.
I triumviri si servirono di questi poteri onde raccogliere le ingenti risorse per pagare i loro soldati, ormai strumento del potere personale, e preparare la spedizione militare contro gli uccisori di Cesare. Gli espropri dei beni ai proscritti furono accompagnati dalle vendette personali, scatenando un clima di terrore, che eguagliava quello della dittatura di Silla. Nei patti era infatti accordata la facoltà “di vendicarsi dei rispettivi nemici, tra cui Cicerone e circa trecento tra cospicui Senatori, e rispettabili Cavalieri romani” [13].
La famiglia infatti più colpita fu quella di Cicerone, e non si trattò di una questione di soldi, ma di una crudele vendetta personale di Antonio per punire l’oratore delle Filippiche, che le recitò in senato e nel foro contro di lui. Infine, anche chi per temperamento non eccedeva nella violenza, assunse il cinismo della ragion di stato: “Ottaviano sul quale tanto Cicerone si era illuso, e le cui ambizioni tanto aveva sostenute, non trovò conveniente ricusare al suo nuovo alleato la vittima più illustre”[14].
La lapide del lato est mette a confronto una visione cristiana della storia del mondo in alternativa a quella mondana dei tempi romani e “pagani”, infatti già nella lapide del 1600 la Trinità opera, come espressione della divina provvidenza, tramite il simbolo della Croce, oggetto di culto in loco e guida di tutti i popoli.
“I Romani conquistarono il mondo con il ferro”, Cristo, “innalzato da terra” trasse a sé i Romani e gli altri popoli nel segno della croce. “Nel vicino tempietto entra o viandante e adora supplice l’insegna della croce del Signore”[15].
Il contenuto delle lapidi presenta dunque una compenetrazione di sacro e di civile, che evidenzia “la duplice valenza di carattere storico e culturale allo spicchio di territorio in cui il cippo sorge”: ricordo degli accordi triumvirali e inoltre del culto della croce, in quanto nella vicina chiesa di S. Elena è conservato un “privilegiato ricettacolo di un frammento della Santa Croce”[16].
In questo luogo, al fascino arcaico e sacrale del Mezzomondo, alla memoria del patto tra i tre consoli che segnò il passaggio istituzionale dalla repubblica all’impero, le lapidi sin dalle prime colonne hanno contrapposto al simbolo della spada il culto della croce, collegato a quello di S. Elena, a cui la chiesa di Sacerno è dedicata.
Considerata poi l’importanza che la località aveva nel passato come nodo viario, attraversato dalla via di Mezzo e da altre, che, incrociandola, univano le due strade maestre dell’Emilia e della Persicetana, (già probabile sede di sacre vestigia in età classica), qui, riporta la tradizione, S. Tertulliano vescovo di Bologna fece costruire o benedisse il monastero di S. Elena nel 470 dell’era cristiana[17].
In questi secoli, “dai primi momenti di vita religiosa alle origini del cristianesimo”[18] fino all’arrivo dei Benedettini, il cenobio e il suo necessario luogo di culto furono curati da “monaci di culto orientale”[19]. I monaci di S. Benedetto, con tutte le caratteristiche di un grande ordine monastico occidentale e con la loro filosofia dell’ora et labora, non solo bonificarono e resero fertili questi terreni, ma in questo luogo di culto eressero nel X secolo la Rotonda.
Al posto di un probabile tempietto precedente, o dei suoi resti, venne eretta questa “piccola Rotonda di Sacerno, a pianta lievemente elittica” che “deve appartenere alla fase arcaica e frammentaria dell’arte romanica, fra il X e l’inizio del XII secolo”, e “in origine aveva un’abside per altare”[20].
Incontrando il convento una certa prosperità, gli stessi monaci nel secolo XI vi edificarono accanto la chiesa romanica dedicata a S. Elena, culto che continuò quando subentrarono i Servi di Maria, che ai primi del ‘300 eressero sopra la Rotonda il campanile romanico.
Nei secoli è continuato il culto di S. Elena e quello di S. Macario, di cui si conservano all’interno i resti di marmo del suo sarcofago, in ricordo del Vescovo di Gerusalemme, che aiutò la madre dell’Imperatore Costantino a rinvenire la Vera Croce.
Nel 1730, finita la costruzione della chiesa attuale, fu collocata sull’altare maggiore la pala dipinta da Giuseppe Cospi, in cui è raffigurata la Santa che si erge abbracciando la Croce.
Il cippo del Triumvirato, che si trova nella stessa posizione e forma da 162 anni, con le medesime lapidi che ne documentano la storia e i significati dei simboli già descritti, è sempre stato oggetto di studi fino al presente.
Per gli abitanti di Sacerno, fino a qualche decennio fa, era come l’indicatore della località il “Mezzomondo”, con tutti i misteri che questa conservava, a cui alcuni ricercatori hanno collegato il culto di Kernumnos, da cui si fa pure derivare il nome di Sacerno.
La foto del 1930, “Gita in bicicletta al Mezzomondo”, riporta a destra il Cippo a fianco della Via di Mezzo di allora, inoltre il Monumento, oltre ad avere assunto il nome della località, era ancora distante dall’argine del Lavino di oltre 10 metri.
I giovani in bicicletta iniziano la salita della rampa, che portava alla passerella; alle loro spalle a sinistra si nota la Via Golena che raggiungeva la Persicetana; all’altezza del ciclista in fondo si scorge la strada a sinistra, che in passato portava alla provinciale, passando accanto all’oratorio di S. Antonio Abate; una ventina d’anni fa, dopo il tratto vicinale, questa antica via è stata ridotta a “cavedagna”. Le tre strade qui indicate sono ancora quelle della mappa Pulega del 1666.
Alberto Tampellini conclude il suo studio, considerando in questo senso Sacerno come “umbilicus orbis”, proprio in virtù dei significati che il luogo ha avuto nella tradizione, fino a collegarlo “a quella congerie di impliciti e primordiali significati che hanno contribuito, dall’antichità a oggi, a tramandare l’uso di collocare negli incroci i segnacoli di carattere religioso (piastrini, edicole, cappelline)”[21].
Egli inoltre esprime l’auspicio che venga effettuato un adeguato restauro a “questo muto rievocatore di memorie passate”, lasciato fino a poco fa tra il “frusciare delle vicine canne ed al delicato frinire degli insetti”[22]. Ora la riva dell’argine è stata falciata, ma il cippo resta in un luogo irraggiungibile.
Nella foto n. 8, ripresa dall’argine destro del Lavino, oltre al panorama dei nostri campi, si scorge a sinistra il Cippo tra la strada e la base dello stesso argine rinfiancato. Al centro, a nord di Via di Mezzo, si notano due alberi alti, tra cui passa la strada vicinale. Nell’angolo a est di questo bivio si trovava la “Memoria del Triumvirato”, come descritta nella detta mappa del 1666.
Da queste immagini sull’ubicazione dello stesso Cippo, si può notare che i padri Serviti spostarono nel 1770 la colonna di circa cento metri, per erigerla di nuovo in un loro podere detto “Sotto la Chiesa”, conferendo allo stesso monumento anche la funzione di pietra confinaria, infatti nel 1845, quando il Conte G.B. Spalletti riedificò il pilastro nella presente struttura, lo spostò di soli cm. 24, per portarlo in suolo pubblico.
Il Cippo, nella foto 10, illustra le imponenti strutture, rese fatiscenti dal tempo e dall’incuria. Il luogo che occupa da 162 anni non sembra più idoneo ad accogliere il maestoso manufatto, né ad offrire gli spazi per un recupero e una valorizzazione dei significati storici e culturali che lo stesso rappresenta, non essendo oggetto di visite né da parte dei cittadini né delle scolaresche.
E’ in progetto, da parte del Comune di Calderara di Reno, un intervento di restauro, per restituire all’imponente segnacolo il fascino storico, che nei secoli ha suscitato l’interesse degli studiosi e ha colpito l’immaginazione popolare, per la quale la località è ancora chiamata Mèz dal Mònd.
Rivalutare dunque l’importanza del Cippo e renderlo fruibile a tutti è al presente un’opera meritoria, che continua quella dei Padri Serviti e del Conte Spalletti, allo scopo di tramandare alle giovani generazioni e a quelle future il significato universale dei valori civili e religiosi, che esso qui rappresenta.

NOTE
[1] Le Chiese Parrocchiali della Diocesi di Bologna, Bologna 1844, p. 36.
[2] A. Tampellini, Pagani e Cristiani- Forme ed attestazioni di religiosità del mondo antico nell’Emilia centrale, S. Giovanni in Persiceto (Bologna) 2001, p. 130.
[3] A. Tampellini, Il cippo di Sacerno e la spartizione triumvirale del 43 a. c., “Strada Maestra”, S. Giovanni in Persiceto (Bologna), n. 49 (2° semestre 2000), pp. 29-30.
[4] Ibidem, p.36.
[5] ASB, Demaniale 1666, 97/2131. Abbreviazioni: ASB – Archivio di Stato Bolognese; ACC – Archivio Comunale di Calderara di Reno; APS – Archivio parrocchiale di Sacerno.
[6] S. Calindri, Dizionario corografico d’Italia – Pianura del Territorio Bolognese – Dell’Isola del Triumvirato in Reno - Vol. VI, Bologna 1785.
[7] ACC. Tit. XXV, Prefettura, Rub. 3, 1813, b. 3.
[8] A. Tampellini, Il cippo di Sacerno, cit. p. 25.
[9] S. Calindri, Dizionario, cit. Nota 43. p. 84.
[10] Le Chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna, Tomo I, Bologna 1844, p. 36.
[11] Archivio comunale di Sala Bolognese, “Acquisti, vendite e atti vari” delle famiglie Spalletti – Trivelli e Terracini.
[12] G. Forni, Persiceto e San Giovanni in Persiceto, Rocca San Casciano, 1921, p. 22.
[13] S. Calindri, Dizionario, cit. p. 27.
[14] C. Barbagallo, Storia Universale – Roma Vol. II, Torino 1968, p. 944.
[15] Per la traduzione dei testi della lapidi, si è fatto un libero riferimento a Tampellini, Il cippo di Sacerno, cit., pp. 26-27.
[16] A. Tampellini, Pagani e Cristiani, cit. p. 129.
[17] C. Siconio, De Episcopis Bononoiensibus, p. 28.
[18] A.M. Orselli, Organizzazione ecclesiastica e momenti di vita relgiosa alle origini del cristianesimo, Storia della Emilia Romagna 1, Bologna 1984, pp.307-332.
[19] A. Gatti, Sant’Elena di Sacerno, Bologna 1895, p. 13.
[20] G. Rivani, Aspetti e singolarità dell’architettura bolognese nel periodo romanico – Organismi a pianta centrale, “Strenna Storica Bolognese”, n. 9, Bologna 1959, p. 318.
[21] A. Tampellini, Il Cippo, op. cit. p.50
[22] Ibidem, p. 51

Articolo a cura di Rino Battistini

5 commenti:

robby ha detto...

fascinosa ricerca,ricca di particolari e intuizioni.complimenti.anche io studio da anni il centro del mondo,e sono piu' convinto della teoria ,che indica tale luogo verso bologna ,dalle parti di bertalia,per tante importanti ragioni.comunque sia e'bello trovare altre persone che studiano cosi'importanti argomenti
porrelli roberto
porrelli.roberto@gmail.com

Adri MB ha detto...

Grazie infinite per le ricerche e le spiegazioni. Non avrei mai conosciuto questo monumento se non fosse stato per la ricostruzione data da Alberto Angela nella sua trasmissione del 10/05/2014 che ha suscitato in me grandissima curiosità e mi ha condotta a questa pagina. Grazie!

Unknown ha detto...

ciao oggi sono stato a Sacerno con amici ; è un luogo magico! Grazie!

Unknown ha detto...

Un sentito ringraziamento per il racconto e la ricerca storica al Curatore. I più severi giudizi al comune di Calderara che lascia incompiuto il lavoro, privando di ogni informazione i visitatori del luogo.
Michele Morisi

Unknown ha detto...

Un sentito ringraziamento per il racconto e la ricerca storica al Curatore. I più severi giudizi al comune di Calderara che lascia incompiuto il lavoro, privando di ogni informazione i visitatori del luogo.
Michele Morisi